mercoledì, novembre 26, 2008

Lettera al Rettore

Alla cortese attenzione del Magnifico Rettore dell'Università di Padova - Prof. Vincenzo Milanesi

Egregio Professore e Magnifico Rettore,
sono una studentessa iscritta al quarto anno del corso di laurea Magistrale in Giurisprudenza, già laureata all'Università Ca' Foscari di Venezia (corso di laurea Specialistica in Lingue e istituzioni economiche e giuridiche dell'Asia Orientale).
Mi rendo conto che la mia modesta opinione di studentessa non ha alcuna rilevanza per questioni tanto importanti per la nostra Università e di così grande interesse nazionale, ma, essendo la Sua lettera rivolta anche a me, mi sento in dovere di esprimere le mie idee al riguardo.
In quanto ideologicamente e politicamente distante dallo schieramento del Ministro Gelmini, mi sento vicina a tutti coloro che stanno manifestando per opporsi al suo decreto che ha colpito l'intero sistema dell'istruzione italiana. Ciò nonostante, mi trovo a non essere affatto d'accordo con le opinioni espresse nella missiva in questione.
Se è verò che i tagli all'università italiana ci saranno, ciò non significa che siano realmente un male, e soprattutto che essi saranno la causa o un incentivo alla "fuga di cervelli" all'estero e che pregiudicheranno le opportunità dei giovani. Opporsi a questo decreto in maniera cieca e superficiale, come molti stanno facendo in questi giorni, senza andare a fondo e considerare gli atavici tarli che affliggono il nostro sistema universitario, è ancor più deleterio delle conseguenze del decreto stesso (sempre che esso venga davvero trasformato in legge).
E' facile infervorare la folla tenendo nascoste le questioni più importanti; è comodo continuare questo clima di omertà che porta ad ignorare volutamente le vergogne interne alle nostre facoltà, girando la testa dall'altra parte per la paura di affrontare delle personalità influenti politicamente o economicamente; e soprattutto è comodo chiamare in causa gli studenti e le loro famiglie, che sono toccati da problemi molto più gravi, solo nel momento in cui sono coplite le proprie tasche, senza schierarsi con altrettanto fervore per difendere i loro diritti.
Stranamente ci si lamenta ad alta voce della fuga delle nostre brillanti menti verso paesi in cui la ricerca è presa più in considerazione, ma non si concentra mai l'attenzione pubblica sulle vere cause di ciò: la difficoltà che i giovani incontrano quando si avvicinano per la prima volta al mondo del lavoro. La materia è estesa e si potrebbero scrivere libri al riguardo, soprattutto per il settore privato, e non la esaurirò certo nelle presente; mi limito a parlare dell'ambiente universitario per rispondere alle domande più importanti: perchè è in atto la fuga di cervelli? Perchè la nostra università è in crisi?
Vorrei portare la Sua attenzione verso i seguenti fatti ormai pacifici e palesi, con specifico riguardo alla Facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Padova: la maggior parte dei Professori supera i cinquanta (per non dire sessanta) anni; i docenti sono spesso imparentati tra di loro; i Professori e i loro assistenti sono figli, nipoti o addirittura bisnipoti di precedenti Professori, a cui sono succeduti per una sorta di diritto ereditario; per diventare assistente di un docente, è necessaria una raccomandazione diretta o indiretta; i voti degli esami sono attribuiti secondo criteri che molto spesso esulano dal merito (data o votazione dei precedenti esami; cognome; importanza della famiglia di origine; tipo di scuola superiore frequentata; tipo di ordinamento a cui lo studente è iscritto; anno di corso; ecc...); i docenti e i loro assistenti non sono quasi mai disponibili ad aiutare e venire incontro agli studenti, rendendo volutamente difficle il superamento degli esami, anche prevedendo ostinatamente il salto di appello (non dimenticherò mai quella docente che dichiarò pubblicamente a lezione di aver avuto chiare disposizioni "dall'alto" di tenere il tasso dei promossi al di sotto del 10%, o quel Professore che costringe gli studenti non frequentanti a procurarsi delle fotocopie illegali di un testo non più reperibile come unico materiale d'esame), per non parlare del fatto che costoro si permettono costantemente di insultare e umiliare gli studenti con offese e atteggiamenti lesivi della loro dignità umana (e non mi riferisco soltanto all'ormai leggendario caso del libretto scagliato in viso all'esaminando di diritto romano negli anni settanta); non è prevista nessuna concreta ed utile agevolazione per gli studenti lavoratori o genitori, e gli aiuti per i disabili sono insufficienti e mal volentieri concessi dal personale dell'ateneo (le riporto il caso di uno studente in sedia a rotelle rimasto bloccato all'ultimo piano del Palazzo del Bo perchè nessuno voleva andare a riprenderlo, non essendoci un ascensore accessibile agli studenti); le aule e gli strumenti utilizzati per le lezioni sono inadeguate e non a norma di legge, e mettono a rischio l'incolumità fisica degli studenti (posso testimoniare personalmente episodi relativi a lezioni a frequenza obbligatoria nell'aula E, che è interamente di legno, svolte nel più totale sovraffollamento di studenti, che seduti per terra ricoprivano l'intero pavimento...Le lascio immaginare cosa sarebbe successo in caso d'incendio). Paghiamo circa duemila euro di tasse universitarie ogni anno, una cifra che incide parecchio nel bilancio delle famiglie meno abbienti (una situazione al limite dell'incostituzionalità, considerato anche il costo dei libri di testo, per quelli che Lei ha definito "capaci e meritevoli anche se privi di mezzi"), e sinceramente preferirei che venissero usate in maniera più oculata e concreta, piuttosto che versate nelle tasche dei cosiddetti "Baroni", altimenti vale piuttosto la pena di iscriversi ad un'università privata dove i servizi offerti sono presumibilmente ad un livello accettabile; perciò penso che forse i tagli tanto criticati costringeranno l'amministrazione ad usare meglio i nostri soldi. Infine, i voti degli esami in generale e i punti attribuiti alla tesi di laurea sono più bassi delle altre facoltà e degli altri atenei, costituendo così un limite enorme per i nostri laureati e uno svantaggio rispetto ai colleghi provenienti da altre città, che non solo si laureano più brillantemente, ma anche più velocemente. Ci sono centinaia di studenti pronti a testimoniare su questi punti, non sono solo io a dirlo e non lo dico certo per interesse personale in quanto la mia carriera universitaria è sempre stata brillante nonostante tutti questi problemi, e nemmeno voglio vendicarmi meschinamente di qualche Professore, anzi, al contrario, molti sono amici di famiglia.
Spero che gli studenti prendano coscienza del fatto che è necessario unirsi e scendere in piazza per questi problemi, che ci riguardano da vicino.
Certa della sua comprensione le invio distinti saluti.

Lezione di Giapponese 1

1- La cosa più importante, in generale per imparare qualsiasi lingua straniera, è avere una buona base di grammatica della propria lingua madre. Quindi ripassate bene l'analisi logica e grammaticale! Se non conoscete bene la sintassi italiana, non riuscirete mai a tradurre dal giapponese. Ripassate complementi, avverbi, aggettivi, consecutio temporum.

2- Il giapponese non ha né singolare né plurale; né maschile né femminile, e non esistono gli articoli. La parola "manga", per esempio, può essere tradotta indifferentemente sia "il/un fumetto" che "i/dei fumetti". Per i pronomi ci sono delle eccezioni.

3- i verbi non hanno né persona né numero. "Miru" estrapolato dal contesto può voler dire "io vedo, tu vedi, egli vede, noi vediamo" ecc...

4- i tempi dei verbi sono solo i seguenti:

- presente

- passato

e i modi:

- condizionale

- gerundio

Ma non vengono classificati come in italiano, bensì attraverso delle "basi" che vedremo più avanti.

5- esistono diversi registri di linguaggio a seconda della persona che parla e del suo interlocutore:

- maschile/femminile

- superiore/inferiore

- sconosciuto/conosciuto (uchi/soto)

che si riflettono in diversi gradi di formalità (dal grado più basso al più alto):

- ordine/scortese (es.: militare)

- forma piana (amici della stessa età e della stessa posizione sociale)

- forma cortese (tra sconosciuti allo stesso livello)

- forma onorifica umile/onorifica (keigo)

- ulteriore forma onorifica (per rivolgersi all'imperatore ecc...)

6- è importante conoscere anche le regole non scritte insite nella cultura giapponese, per non commettere gaffe. Per esempio, non si usa mai il pronome "tu", ma ci si rivolge all'altra persona usando il nome o cognome, spesso parlando anche di se stessi in terza persona. Non si rivolge mai la parola a uno sconosciuto (ma per gli stranieri, "gaijin", è diverso) né è consentito fissare o indicare gli altri. Non si parla mai ad alta voce e non si usa il telefono in metropolitana o in treno.

.7- Può sembrare ovvio, ma mi è successo molte volte di sentirmi chiedere se il giapponese e il cinese sono due lingue diverse.

Ovviamente la risposta è SI, MOLTO. Anzi, completamente! L'unica cosa che può assomigliare al cinese sono gli ideogrammi, in quanto in origine vennero copiati dal cinese classico, e usati per esprimere parole in giapponese, quindi adattati e un po' stravolti sia nella pronuncia che nel significato. Ora che il cinese è stato semplificato, non si assomigliano neanche più così tanto. La pronuncia e i suoni sono cmq completamente diversi, in quanto il cinese è una lingua tonale (una sillaba ha 4 toni e 4 significati diversi), mentre il giapponese non ha né toni né accenti (infatti, una parola si pronuncia ogni volta differentemente in base alla frase e al contesto).

8- La struttura della frase e la sintassi sono "rovesciate" rispetto all'italiano (è un po' come il latino e il greco). Il significato di una frase si potrà capire soltanto dall'ultimo verbo, come vedremo, e il rapporto tra le varie subordinate sarà chiaro soltanto dopo aver letto l'ultima frase o la principale a seconda dei casi.